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lunedì 16 luglio 2012


B     Giò

1950, estate. Tutt’a un tratto fu preso da una smania incontenibile e, nel dormiveglia, cercò di rigirarsi per sgranchire le gambe. Puntò i piedi, sgomitò, ma non c’era più lo spazio sufficiente e la sua irrequietezza aumentò di conseguenza. Stava spingendo perché qualcosa lo spingeva, anche se non aveva la benché minima idea di cosa sarebbe accaduto. Questa incertezza trasformò la smania in inquietudine e poi l’inquietudine in paura. Stava bene lì, non aveva alcuna voglia di cambiamenti, ma non riusciva a smettere di agitarsi e quasi gli venne voglia di piangere, ma ancora non lo sapeva fare...
‘Oddio, e adesso che succede?’ ...credette di pensare.
La donna sentì le pedate nello stomaco che, rimbalzando attraverso il diaframma, le tolsero il respiro e si svegliò di soprassalto...
‘Oddio, ci siamo!’
Il suo pensiero fu immediato, si svegliò prima di lei... ma un attimo dopo Caterina lo aveva raggiunto e aveva preso atto della situazione, con una certezza che solo raramente può essere così assoluta. Respirò profondamente per due o tre volte e, ormai perfettamente lucida, scosse il marito che dormiva ancora beatamente, senza ovviamente essersi accorto di niente...
«Enrico, Enrico, sveglia. Stavolta ci siamo.»
Seguirono alcuni momenti convulsi prima che anche lui si rendesse conto di ciò che stava accadendo… ma d’altronde era un uomo, e non poteva percepire certe sensazioni.
Insonnolito dal dormire bruscamente interrotto, ma svegliato in maniera quasi allucinogena dalla botta di adrenalina, Enrico fu mandato di corsa, sommariamente vestito – e meno male che era estate! Perché non si sarebbe accorto nemmeno di un inverno siberiano – a bussare alla porta di tre case più in là finché, tirata giù dal letto, un’altra donna prese per mano gli eventi.
Il suo briciolo di professionalità mise un po’ d’ordine. Adesso tutti, anche i nonni Nicola e Luisa, erano svegli e davano una mano, mettendo a disposizione tutto quello che serviva: acqua calda, disinfettante e asciugamani puliti.
Ma a questo punto il flashback si interrompe.
Del prima e del dopo sì, ma del momento assoluto non è consentito conservare il ricordo.
Il dopo iniziò con un pianto irrefrenabile, del quale è stato detto significhi tutto e il contrario di tutto. Perché è – sì – il meccanismo fisico tramite il quale si liberano i polmoni dal liquido per poter cominciare a respirar l’aria, ma anche – e soprattutto – lo sfogo di quella paura che pochissimo tempo prima gli aveva fatto venir voglia di piangere, quando ancora non lo sapeva fare.
Ma adesso basta piangere, stava facendo giorno e la luce filtrava dentro la stanza e dentro di lui, attraverso le tende della finestra e le sue palpebre, entrambe socchiuse.
Non c’era più niente da fare. Ormai era nato.
E dopo uno e dopo due quarti di secolo, quell’esperienza così personale Giovanni l’aveva rivissuta, e come padre e come nonno; e sempre più sentiva la necessità inevitabile di tramandare le sensazioni, uguali, che aveva sempre provato in prima, seconda o terza persona.
Non era un compito facile. Nemmeno con l’ausilio della tanta esperienza e della poca saggezza accumulate negli anni. Ma doveva provarci, perché la comprensione dei risvolti nascosti in quello che per troppe persone è solo un certificato anagrafico, l’atto di nascita, apre la strada per riuscire – forse – a comprendere i significati di un altro evento, del quale non sapeva se sarebbe stato consentito conservare il ricordo, dell’altro estremo di quell’arco di cerchio che è la vita terrena: della morte.
Ma procediamo con ordine... prima di ambire alla comprensione della morte, Giovanni doveva ancora cercare di dare un senso alla sua vita.

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