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lunedì 16 luglio 2012


T     Anno sabbatico

1982, la mattina del due di gennaio. Dell’anno in cui ne avrebbe compiuti trentadue.
Per un attimo gli sembrò di essere Massimo Troisi nel film Ricomincio da tre. Aveva tre cose in mano: un giaccone, un impermeabile e una valigia. Caricò tutto su una vecchia 127, che gli avevano prestato, e se ne andò. Ma non per una fuga.
Erano giunti a quella conclusione insieme. Dopo tanti mesi di tensioni, per la prima volta furono perfettamente d’accordo: meglio interrompere in tempo, prima di arrivare a odiarsi. Non dovevano dimenticare di essere, in primis, la mamma e il babbo di Stella.
Non avrebbero potuto evitarle il trauma di avere i genitori separati, ma quello di vederli discutere, litigare e tirarsi dietro cose o parole pesanti, sì.
Andarono, insieme, dall’avvocato di Giovanni, che era amico di tutti e due, e gli fecero preparare la pratica per la separazione consensuale.
Quando si presentarono dal giudice conciliatore erano talmente d’accordo su tutto, che quello non ci credeva che volevano separarsi per davvero.
Ma così fu.
Giovanni non rimise mai più piede in casa di Diana, nella loro casa. Tornò nel Viuzzo, in quella dove era nato. Ora ci abitava sua sorella Anna, che si era sposata.
Enrico e Caterina, invece, vivevano stabilmente nella casa di campagna.
Nel Viuzzo... non gli toccò la “sua” camera, in quella stavano Anna e Marco, suo marito. Con loro si trovava bene, oltre la parentela c’era un’amicizia profonda, e vissero insieme più di un anno, senza problemi.
Cominciò a riorganizzare la sua vita. Dei camion non voleva più saperne. Avrebbe potuto continuare nei trasporti, come consulente. Suo padre lo fece, per diversi anni, nel settore commerciale, sfruttando le conoscenze che aveva. Giovanni avrebbe potuto benissimo farlo nel settore tecnico. Glielo chiesero anche, in diversi. No... grazie. Non fintanto che le ruote saranno rotonde!
Gli piaceva disegnare, anche se aveva esperienze solo di disegno tecnico, era un buon organizzatore, ma soprattutto aveva un discreto spirito creativo. E allora il “creativo” si mise a fare, per conto di un’agenzia pubblicitaria della quale conosceva il proprietario.
Era un bell’ambiente, prestigioso e stimolante. L’amico gli affidò la redazione di un mensile, che l’agenzia pubblicava come veicolo pubblicitario. Come direttore editoriale, Giovanni si buttò a capofitto nella nuova avventura. Leggeva, scriveva, sceglieva il materiale da pubblicare e faceva gli impaginati.
Seguiva tutto, dall’inizio fino alla stampa e alla spedizione delle copie. E lo pagavano pure bene.
Aveva diversi collaboratori, ma era completamente libero di muoversi e di organizzare le cose. Come superiore aveva solo il direttore responsabile. Doveva averlo, perché lui non era “giornalista” e non avrebbe potuto firmare. Ma quello, giusto a firmare una volta al mese, si vedeva. Gli sembrò di essere tornato all’epoca di Roma, col capitano Raimondo che non c’era mai.
Aveva a disposizione quella vecchia 127 con la quale aveva fatto il “trasloco”. Per stare in città andava più che bene. E per i viaggi lunghi, il più delle volte a Milano, prendeva il macchinone del “capo”. Dopo tre mesi, a primavera, ancora una volta si ricomprò la moto. Stavolta a quattro cilindri, una Yamaha XJ750.
La prima che la provò fu Patrizia, la sua nuova segretaria. Molto carina e appena maggiorenne. Fu subito anche evidente, che Giovanni le piaceva. In ufficio avevano chiacchierato parecchio, e lei rimase affascinata dal suo “vissuto”. Ma aveva appena diciott’anni e per lui, ancora legato alla vecchia abitudine dei “ventuno”, era solo una ragazzina che gli faceva tenerezza, e poi si sentiva ancora tanto misogino. No che non gli piacessero più le donne. Quello mai. Ma sentiva il bisogno di stare un po’ da solo, quindi meglio evitare qualsiasi coinvolgimento.
A volte passava in ufficio anche la notte, quando doveva chiudere il numero della rivista. Altre volte, invece, aveva le giornate completamente libere e lasciava Patrizia da sola. Giusto per rispondere al telefono e prendere nota di chi chiamava. Tanto non c’erano mai furie o urgenze, tutto poteva essere previsto e pianificato. A volte non gli sembrava neanche di lavorare. Intanto conosceva nuove persone. Una fauna strana, notturna, che trovava sempre nei soliti posti. Frequentava un paio di piano-bar, sempre molto dopo la mezzanotte. In quegli anni era un orario nel quale ormai rimanevano poche persone. Di solito beveva qualcosa facendo due chiacchiere con uomini separati come lui, ma quasi tutti molto più vecchi.
Ogni tanto offriva una coppa di champagnino a qualche ragazza, ma raramente, perché in quelle ore di solito rimanevano solo le “tardone”.
L’unica giovane che trovava spesso era Daniela. Una biondina esile e strana... più misantropa, se possibile, di quanto lui fosse misogino. La soprannominò “La mia Principessa dei ghiacci” per quanto faceva l’algida, e non si raccontarono mai le cause della loro scontrosità. Ognuno si teneva le sue... e si “piangevano” sulla spalla, così, senza dover chiedere o dare spiegazioni. A modo suo, in quel momento particolare, “la Daniela” fu una grande amica.
A volte, se facevano molto tardi e rimanevano molto pochi, aveva accesso alla cucina del locale per preparare un risottino o due spaghetti, che la direzione offriva agli affezionati della notte. A cucinare si divertiva un sacco, e il risotto allo champagne gli veniva pure bene!
Quando tornava finalmente a casa, si fermava al pianterreno e, nel più assoluto silenzio, si metteva davanti al televisore, col volume a zero, a giocare con una delle prime consolle di videogiochi, che suo cognato aveva comprato. Prima dell’alba non andava mai a dormire.
Considerando che il giorno nessuno tornava a casa per pranzo, con Anna e Marco, in effetti, si vedevano di rado. A volte per cena, ma non sempre.
Purtroppo si vedeva sempre più di rado anche con Stella. Non tanto per colpa di Diana, quanto proprio sua.
Vestendo i “panni” dell’uomo solo, gli riusciva sempre più difficile fare il babbo. Quando passava il suo pomeriggio con Stella non sapeva bene cosa fare né come farlo. La “piccina” aveva ormai sette anni e più che a portarla al cinema non riusciva a pensare. Si sentiva terribilmente in colpa e a disagio – forse con un maschietto sarebbe stato più facile? – ma con una bambina, e senza una donna accanto, spesso non sapeva proprio come comportarsi.
E Stella se ne accorgeva, e siccome non si divertiva neanche lei, sempre più frequentemente il suo pomeriggio settimanale cominciò a saltare.
Intanto si avvicinava l’estate e c’era una cosa, che gli stava molto a cuore, che andava esorcizzata subito. La Corsica.
Molti, nel corso della sua vita, lo hanno giudicato troppo pragmatico. “Perfettino” come diceva suo cognato, prendendolo in giro. Affetto da una spasmodica ricerca della concretezza. Talmente idealizzata da diventare quasi un’utopia.
Giovanni invece, è solo quest’ultima fatta persona: un’utopia fatta uomo. E per quest’uomo non esistono chimere...
...l’impossibile è il solo parametro contro cui vale la pena confrontarsi. Il suo modo d’affrontare le cose, quasi con una forma di romanticismo ottocentesco, lo ha sempre fatto giudicare da qualcuno troppo concreto, e da qualcun’altro troppo astratto. Senza considerare che si tratta, comunque, dello stesso eccesso, solo visto e giudicato da angolazioni diverse.
La Corsica rappresentava quindi, in quel momento della sua vita, un set ideale. Per rimettere in scena, con personaggi diversi, una sit com che nella prima versione lo aveva deluso per il finale. Al posto della barca adesso c’era una moto. Ne trovò altre cinque. Marco e Anna erano una. Altre tre coppie di amici comuni, più un altro suo amico da solo. Anche lui fu tentato di andare da solo, gli sarebbe piaciuto. Ma poi pensò che era più giusto trovare due “passeggere”. Meglio non sparigliare.
Amiche ne aveva diverse, due in particolare. Miranda e Alessia. Ultimamente avevano passato un fine settimana insieme all’isola del Giglio. Lui in moto e loro con la macchina di Miranda. L’auto l’avevano lasciata a Piombino, e avevano preso il traghetto tutti e tre con la moto.
Le ragazze erano talmente esili che c’entravano benissimo. E poi in quel periodo condividevano tutto, figurati una sella. Dopo aver condiviso il letto quello era l’ultimo dei problemi. Anche quella notte al Giglio presero una camera sola. A Giovanni piaceva molto fare il “cavaliere fra due dame”, lo faceva sentire come un salame fra due fragranti fette di pane.
Era una situazione scoglionata e disinibita, che gli faceva rifare pace con l’altro sesso. Senza spazio per coinvolgimenti troppo personali, un gioco molto intrigante e piacevole. E morta lì.
Miranda era più “sportiva” di Alessia, ma nessuna delle due aveva mai fatto viaggi lunghi in moto né, tantomeno, campeggio. Il suo amico aveva la moto più piccola e sportiva. Fu sacrificata Miranda e a Giovanni toccò come passeggera Alessia.
«Questo è lo spazio che hai per il tuo bagaglio individuale... » le disse consegnandole una delle borse laterali della moto,
«e io ne ho un’altra uguale. Tutta la roba da campeggio sta nel bauletto e nella borsa sul serbatoio.»
Alessia lo guardò stranita e incredula,
«Ma sei scemo? Questa cosa è più piccola del mio beauty case!»
Gli ci volle del tempo per convincerla che non servivano tanti vestitini e ferro da stiro. Che bastavano un paio di scarpe da ginnastica, ai piedi, e un paio di ciabatte. Che i “trucchi” e le scarpe col tacco poteva lasciarli a casa. Che il beauty doveva essere solo una bustina col sapone, il dentifricio e lo spazzolino da denti, e poco più.
La resistenza di Alessia fu eroica e a un certo punto pensò anche di rinunciare. Poi la curiosità ebbe il sopravvento e, piano piano, Giovanni riuscì a convincerla e ad aiutarla nella cernita, finché la borsa fu fatta. Quella che ad Alessia sembrava un’utopia irrealizzabile, si concretizzò. L’impresa che le sembrava impossibile, non solo riuscì perfettamente ma si accorse, un mese dopo, che di tutto quello che si era portata dietro ne aveva usato, forse, solo la metà. Da quella volta, ovunque dovesse andare, non si è più fatta problemi con i bagagli.
Partirono una mattina d’inizio agosto da Piombino, vicino a Punta Ala, ma stavolta con uno sgangherato traghetto della Moby Line diretto a Bastia.
Qualcuno gli aveva detto di fare il giro dell’isola in senso orario, per avere sulla destra della strada la montagna e non il mare. Si rivelò un consiglio prezioso, perché le strade córse non avevano parapetti. In certi tratti correvano proprio a picco su strapiombi paurosi, in fondo ai quali si intravedeva, regolarmente, qualche carcassa di auto volata di sotto.
Giovanni era l’unico di tutta la compagnia a esserci già stato. Cercò di sfruttare la conoscenza dei posti che aveva visto l’anno precedente. Ma la sua esperienza si rivelò quasi inutile. Dal mare si vedevano pochissimi particolari della costa, durante la navigazione, ma poi ci si fermava in posti bellissimi, spesso non raggiungibili dalla terraferma. Con le strade costiere, invece, si vedevano un sacco di cose, che durante la navigazione erano state lontane, ma non era quasi mai possibile raggiungere quei posti meravigliosi sul mare, dove ricordava di essere stato con la barca.
Fu comunque un’esperienza complementare a quella dell’anno precedente. La conferma che la Corsica è un’isola incantata. Molto simile alla Sardegna. Ma molto più piccola e raccolta. Ricca di acqua e di boschi, ma senza dune. Infatti l’unico deserto che c’è in Corsica, quello degli Agriates, si chiama così solo perché non c’è nessuno. Ma la vegetazione non manca, anche se si tratta solo di macchia mediterranea. Quasi ovunque, in meno di trenta chilometri di strada, si passa dal mare alle foreste di tipo alpino, a più di mille metri d’altitudine. Con una varietà incredibile di scenari, che si susseguono a ritmo vertiginoso.
Le Calanche di Piana, ad esempio, sono strapiombi rocciosi più rossi delle Dolomiti. Con una differenza. Scavata nella roccia a metà della parete scoscesa corre la strada, strettissima, e giù in fondo c’è il mare, irraggiungibile. E solo un’ora dopo ti ritrovi in mezzo alla Foresta d’Aitone, con abetaie d’alta montagna solcate da torrenti gelidi, che in certi punti formano bellissime cascate. Di che rimanere storditi.
A fine mese ripartirono a malincuore.
Vedere l’isola allontanarsi dalla cima della nave dà una sensazione di distacco molto più marcata di quando salpi con una piccola barca a vela. Forse perché a vela lasci la terra per il mare, ma sei sempre immerso in un elemento naturale. Se allunghi una mano tocchi l’acqua, l’avventura continua e non senti distacchi. La nave invece è artificiale. È solo un mezzo di trasporto, e quando parte senti che l’avventura è già finita. Che la vacanza è finita.
Ma era andato tutto bene, e rimasero tutti amici. Anche Giovanni con Miranda e Alessia.
Finalmente non sentiva più in bocca l’amaro rimasto dall’anno prima.
Stregato dalla Corsica, che è pur sempre francese, si innamorò per riflesso anche della Francia. Parlava la lingua abbastanza bene, e segretamente cominciò a fare progetti di viaggio. Gli stava venendo sempre più forte la voglia di ripartire. Ma stavolta senza biglietto di ritorno.
Nei suoi pensieri, la mèta sognata diventò la Bretagna. Brest, il porto all’estremo Nord-Ovest della Francia. Solo perché era il punto più lontano, finisterrae, e sulle carte geografiche lo affascinava quel lembo proteso nell’oceano Atlantico.
Stava trovando le soluzioni, o meglio creandosi degli alibi, per tutti i problemi.
A Stella avrebbe lasciato su di un conto corrente i soldi per crescere, quelli che aveva avuto dall’incidente con l’autobus di quasi tre anni prima. Erano abbastanza e questo lo faceva sentire meno colpevole.
Altri legami importanti non ne aveva. A parte una grande famiglia. Ma loro avrebbero capito, forse.
Iniziò seriamente a prepararsi. Mise in conto di partire non oltre febbraio dell’anno successivo. Aveva sei mesi per sistemare tutto, e cominciò a vivere in funzione di questo progetto.
In quel periodo capitò anche Ulrike. La conobbe a casa di un amico che le aveva affittato una camera. Rimaneva un breve periodo a Firenze per fare un corso all’Università per stranieri. La prima sera che uscirono la portò a un cinema. La seconda a letto. Fu un mese di puro sesso, senza limiti. La scarrozzò anche in tutti i ristoranti e i piano-bar che frequentava abitualmente. Facendoci pure un figurone con la strana fauna notturna dei suoi “amici”.
Fisicamente però, Ulrike non era il suo tipo. E poi non si sentiva minimamente implicato. Invece lei stava facendosi coinvolgere troppo. Diventava “appiccicosa” e Giovanni cominciò a cercare il modo di scollarsi.
Per fortuna ripartì per la Germania e il problema si risolse da solo. Ricevette un paio di lettere appassionate e a luci rosse. Gli bastò rispondere un po’ evasivo. Finì come era cominciata, rapidamente.
Intanto si stava avvicinando la fine dell’anno. Probabilmente sarebbe stata l’ultima che faceva da quelle parti, e un po’ ci teneva.
Aveva voglia di tornare in montagna, sull’Appennino bolognese. Forse per esorcizzare anche quei luoghi, come aveva fatto con la Corsica.
Coinvolse gran parte di quelli dell’estate, a cominciare da Anna e Marco. E in più tanta altra gente, ragazzi e ragazze conosciuti in varie occasioni. Ne venne fuori una bella compagnia allargata. E poi, tra le ragazze, ce n’erano almeno un paio che potevano essere interessanti.
Una cosa era certa. Avrebbe fatto di tutto per non venire meno al suo vecchio rito scaramantico di Capodanno.

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