Visualizzazioni totali

lunedì 16 luglio 2012


U     Stella...Stellina

1980, inverno. Stella aveva meno di cinque anni e guardava, con occhi insonnoliti, la ragazza che le stava canticchiando una ninna nanna:
«Stella stellina la notte si avvicina...
Stella stellina la fiamma traballa... »
Era la notte di un ultimo dall’anno, o meglio la mattina di un primo, ormai. Dopo aver passato la nottata in un rifugio, raggiunto – in cima alla pista – col “gatto delle nevi”, in tanti avevano fatto a piedi la discesa fino alla partenza degli impianti. Divertendosi un sacco, mezzi ubriachi com’erano.
Anche Giovanni scese a piedi, primo perché portava Stella sulle spalle, secondo perché, dopo l’incidente al ginocchio, non aveva ancora ricominciato a sciare. Tra qualche giorno sarebbero partiti per la fatidica settimana bianca, ma così, di notte, non se l’era sentita. Tutti gli altri, tra cui anche Diana, stavano scendendo sugli sci, con le torce a vento. Intanto loro erano arrivati allo Chalet in fondo alla pista e aspettavano, bevendo, quelli della fiaccolata.
«Chi sei?» chiese la piccina mezzo addormentata.
«Sono Stella.» rispose quella ragazza che l’aveva sulle ginocchia.
«Stella sono io. Tu sei un buffo letto con gli occhi, il naso e la bocca!»
«Io sono Stella e tu sei Stellina... dormi dormi che la notte si avvicina... » continuò a canticchiare la ragazza sorridendo per l’inaspettata definizione.
Era la ragazza di un loro amico che faceva la fiaccolata, aveva vent’anni e anche lei si chiamava Stella. Da quella volta Giovanni non la rivide per più di due anni...

*

1982, inverno. Quella sera, come sempre, si fermò in piazza della Libertà a comprare le sigarette, prima di andare al solito piano-bar. Mise gli occhi distrattamente su tre belle ragazze, che compravano sigarette anche loro.
Con una in particolare rimasero un attimo a guardarsi, come cercando di ricordare. Poi gli tornò in mente il suo volto... “un buffo letto con gli occhi, il naso e la bocca”.
«Ma tu sei Stella!?» chiese allora.
La ragazza lo squadrò di nuovo, quasi seccata, ma dopo un attimo le si illuminarono gli occhi,
«...e tu sei Giovanni, il babbo di Stellina, mi sembrava di conoscerti!» esclamò.
Era lei, e dopo soli dieci minuti l’aveva già invitata a quello che, guardacaso, stavano organizzando sulle stesse montagne di tre anni prima.
Improvvisamente le altre ragazze interessanti della compagnia, gli sparirono dalla testa. Nel suo universo spuntò, in quell’attimo, un’altra “stella”, anche se ancora non poteva saperlo.
Fissarono per rivedersi prima di Natale, il giorno in cui Giovanni aveva Stella per il pomeriggio. Anzi, Stellina da ora in avanti. La piccina non si ricordava di quella ragazza, ovviamente. Ma il fatto che si chiamasse come lei le piaceva. Andarono al cinema, a comprare un po’ di regali, a prendere una cioccolata calda. Le solite cose che faceva normalmente in quei pomeriggi. Ma questo, con Stella accanto, fu completamente diverso.
Anche Stellina non si annoiò, anzi passò un bellissimo pomeriggio. E per Giovanni questo fu il miglior regalo di Natale. Dopo aver riaccompagnata Stellina a casa da Diana, andarono a mangiare qualcosa insieme per mettersi d’accordo sull’ultimo dell’anno.
Per Natale Stella andava dai nonni, dalle parti di Siena, e non si rividero che appena prima di partire, il 31 di dicembre. Passò a prenderla da casa, con gli sci sul tetto della macchina, anche se quell’anno in montagna non c’era un fiocco di neve. Ma bisognava pur dare una parvenza di normalità. In fondo Stella, ai suoi genitori, aveva detto che andava a sciare con degli amici! E nonostante ormai avesse quasi ventitré anni, i suoi erano oltremodo apprensivi e oppressivi.
Finalmente riuscirono a partire. Erano più di venti e Giovanni aveva fissato un po’ di camere nell’unico alberghetto di un piccolissimo paese, molto defilato dalla stazione sciistica. Un paesino di quattro anime, senza attrattive particolari, e conosciuto soltanto per aver dato i natali a Enzo..., un giornalista più che famoso.
Con Gianni, il proprietario, si conoscevano da un pezzo. Siccome mancava la neve, mancavano anche gli sciatori e alla fine, a dormire in albergo, ci rimasero solo loro. Potevano scegliere quante camere volevano e come dividersele. La cosa si prospettava interessante.
Per il cenone, invece, Gianni aveva fatto il pieno con quelli dei paesi vicini, perché aveva avuto una bella idea. Giocare e ballare fino a mezzanotte. Il brindisi. E poi tutti a cena. Una cena coi fiocchi, all’emiliana. Di quelle che ti sfiancano perché non finiscono più. Fino all’alba!
Sin dalla partenza, comunque, Giovanni marcò stretta Stella. Gli altri fecero delle macchinate. Lui prese su lei, da sola. Dopo essere passati dall’albergo, ed essersi scelto discretamente una camera ad hoc, la portò a giro per tutti i paesi del circondario dove conosceva gente.
Fra bar e alberghi di amici fu una serie ininterrotta di brindisi. Quando finalmente cominciò la “serata”, erano già su di giri. Prima dell’alba fecero in tempo a sbronzarsi due volte almeno, e a ritornare sobri.
Quasi alle otto del mattino chiesero a Gianni due caffè doppi. E se ne andarono insieme fino a quella camera in fondo al corridoio, senza che nessuno dei due avesse bisogno di chiedere. Tutti e due avevano appena passato un brutto periodo della loro vita. Il bisogno di credere che sarebbe andata meglio, aveva il sapore del sopravvivere. E poi era il primo giorno del nuovo anno: la valenza simbolica di un rito scaramantico, non si può interrompere. Dopo... riuscirono anche a dormire un paio d’ore. Ma a mezzogiorno scesero di nuovo in sala da pranzo, affamati, e con delle “occhiaie” mostruose.
Gli altri dormivano ancora tutti, sia i loro amici sia il personale dell’albergo. C’era solo Gianni, che non aveva dormito per niente, e si vedeva. Rimase allibito quando li vide entrare nella sala da pranzo e sedersi a un tavolo, come se nulla fosse:
«Ma voi di nuovo qui, siete?»
«Buon giorno Gianni... e buon anno nuovo. C’è tornata fame!»
«Ma se avete mangiato tutta la notte... »
«Portaci intanto una bottiglia d’Albana, dài!»
«Finita anche quella... ve la siete bevuta tutta!»
«Lambrusco e tortellini?»
Gianni portò il lambrusco chiedendosi come facevano quei due a rimettersi a bere. Poi andò in cucina a preparare un po’ di tortellini, decidendo che era meglio non pensarci, e cuocerli in un buon brodo ristretto.
Quando i primi amici ricominciarono ad apparire, come zombi in cerca di caffè, Stella e Giovanni erano alla seconda bottiglia di lambrusco e a un gran vassoio di prosciutto e formaggio.
«Bleeeh... ma come cazzo fate!?» fu il commento più carino!
«Alla facciaccia vostra! È una giornata splendida e sarà un anno stupendo.»
Giovanni riempì i bicchieri e brindò con Stella. Si sentivano tutti e due abbastanza frastornati, ma anche felici e in pace col mondo.
Tornarono a Firenze e ognuno riprese la propria strada. Era stato un bel gioco. Tacitamente dichiarato e accettato da tutti e due. Ma senza conseguenze sentimentali. Altrimenti non lo avrebbero nemmeno cominciato.
Fedeli a questo patto, continuarono a vedersi e a uscire insieme. Sempre più spesso. Stavano bene, si divertivano senza porsi problemi. A metà gennaio si erano visti praticamente tutti i giorni. Ma non avevano rifatto sesso. Amici, amici per la pelle, e basta. Anche se il ricordo della pelle nuda di Stella faceva ancora venire i brividi a Giovanni.
Intanto continuava la vita di sempre. Passava le giornate in ufficio con Patrizia, a parlare di lavoro. Passava le ore al telefono con Miranda, a parlare di Stella. E la conclusione di Miranda...
era sempre la stessa:
«Tanto ti ci metti insieme!»
Giovanni negava, convinto.
«Ma figurati, sto per partire... »
In effetti a quell’idea non aveva rinunciato. Anzi. Ma con Stella non ne parlava, chissà perché. Senza rendersene conto, stava abbassando le difese.
Senza rendersi conto, che anche Stella lo faceva.
Anche lei veniva da una divisione abbastanza traumatica. Da quell’amico con cui stava quando l’aveva conosciuta, si era separata pochi giorni prima del matrimonio, dopo più di cinque anni di fidanzamento. Ovviamente non l’aveva presa benissimo. E anche lei, come Giovanni, aveva fatto un giuramento:
‘Io non m’innamoro più!’
Queste cose non se le erano dette, ma tutti e due le sapevano benissimo.
Una notte, come tutte le notti quando la riaccompagnava a casa: seduti in macchina a chiacchierare. Stella aveva poggiato la testa alla sua spalla e parlavano del più e del meno. In un momento di silenzio e senza soluzione di continuità, si girò su di lei e la baciò. La cosa di per sé, non era una novità. Furono le parole...
«Ma io, ti voglio bene... » che si sentì pronunciare, che lasciarono tutti e due senza fiato,
«a...anch’io... » trovò la forza di sussurrare Stella, dopo un attimo d’incertezza.
E la Bretagna uscì dal sistema solare, scomparendo oltre l’ultimo pianeta conosciuto. Improvvisamente Giovanni, non stava più per partire.
Continuava a non esserci neve, ma il sabato successivo tornarono a sciare, da Gianni. Si rinchiusero nella solita camera in fondo al corridoio, e uscirono solo per fame... fino alla domenica sera.
Miranda era sempre la stessa... aveva “voluto” aver ragione lei. Quando il lunedì mattina le telefonò per dirglielo, il commento fu lapidario:
«Te l’avevo detto!»
Forse lo avevano sempre saputo. Forse non lo avevano voluto ammettere. Da quel momento finì definitivamente l’anno sabbatico. Senza nemmeno pensarci, Giovanni diventò... assolutamente e per sempre monogamo.
Cominciarono immediatamente a fare progetti insieme. Dopo neanche un mese da quella sera in piazza della Libertà, erano talmente determinati che il primo pensiero fu cercare una casa. Giovanni non poteva più stare con Anna e Marco... sua zia Liliana, che viveva da sola perché lo zio Giulio ormai non c’era più, fornì la soluzione.
Aveva un appartamento sotto al suo, parzialmente seminterrato. Una specie di loft, completamente da rimettere, dove fino a poco tempo prima c’era stato un laboratorio artigiano.
Bisognava spenderci parecchio, ma aveva i soldi dell’assicurazione, quelli dell’incidente. Quelli che voleva lasciare per Stellina, se fosse partito. Ma adesso per aiutarla a crescere, ci sarebbe stato di persona.
Intanto, anche così disastrato, elessero il loft a loro pied a terre. In fondo non era scomodo e poi lo avevano già scelto come futura casa. C’era un lettino e una stufa a gas, cosa chiedere di più?
...di uscirne vivi!
Una domenica pomeriggio si chiusero lì a far l’amore. Verso le nove dovevano andare a cena con un’altra coppia di amici, quindi avevano tempo.
La stufetta catalitica, sparata al massimo, mandava un bel calore nel freddo, che dopo un gennaio di latitanza, era finalmente arrivato. Il lettino singolo con i sacchi a pelo, poi, era un rifugio caldissimo per i loro corpi sudati... nonostante il contatto con la pelle di Stella, facesse ancora venire i brividi a Giovanni. Dopo un momento di passione particolarmente intensa, se ne stavano abbracciati e incollati a riprendere fiato.
«Cazzo... che effetto mi fai!» bisbigliò all’orecchio di Stella,
«...anche a occhi chiusi vedo stelle e lampi rossi.»
«Anch’io, » rispose Stella strascinando le parole,
«e mi sta venendo un sonno terribile. Ma che mi hai fatto?»
«Veramente nulla di strano, ma non riesco a respirare... » Giovanni cercò di alzarsi, si sentiva pesante come il piombo, ma ci riuscì...
«Copriti, che provo un po’ ad aprire una finestra.» ...Stella era freddolosa.
Con estrema fatica riuscì a trascinarsi fino alla finestra più vicina. Stava in piedi a malapena. Ma l’aria fredda cominciava a rotolargli nei polmoni, e piano piano la mente gli si snebbiò. Tornò fino al basso lettino e vide che Stella dormiva. La scosse inutilmente e a lungo, prima di avere una reazione... ma molto blanda. Allora strappò via il sacco a pelo nel quale lei stava tutta rannicchiata, e con uno sforzo disumano cercò di metterla in piedi, nuda, nell’aria ormai gelida. Come far stare in piedi uno straccio fradicio.
Ma anche lui di forze ne aveva ancora poche e Stella gli scivolò giù un paio di volte, rovinando a terra come un corpo morto. E più stava sul pavimento, più si riaddormentava... a tenerla in piedi non ci riusciva... gli prese, quasi, la disperazione.
Riuscì ad accendere tutte le luci e sopra un mobilino trovò fortunosamente una vecchia zuccheriera “abbandonata” da chi ci stava prima.
A forza, cacciò lo zucchero in gola a Stella e la costrinse a inghiottirlo. Riuscì ad avere una qualche reazione e a metterla seduta su una sedia. Cercò di rivestirla sommariamente, perché ormai stava battendo i denti dal freddo, poi anche lui riuscì a infilarsi i pantaloni e un maglione.
Così andava un po’ meglio, ma per uscire dovevano risalire dieci scalini. Stella non pesava molto. Era magra come un’anoressica, anche se evidentemente non lo era. Ma trascinarla su per quei dieci gradini, fu più faticoso che per un portatore sherpa scalare l’Everest.
Finalmente in qualche modo furono in cima. Ripresero un po’ di fiato e cercarono di ricomporsi prima di uscire. Alle dieci passate riuscirono a salire in macchina. Si accorsero con sgomento che dal momento delle prime “stelle e lampi rossi” erano trascorse più di quattro ore. Incredibile...
Dovevano, evidentemente, esserci stati dei lunghi momenti d’incoscienza.
Intanto l’appuntamento per la cena era saltato.
Giovanni riuscì a guidare in maniera molto approssimativa fino al piazzale Michelangelo. Faceva un freddo polare, ma respirarono avidamente quell’aria gelata. Riuscirono a ingurgitare a malapena un toast, ricacciando gli urti di vomito. E a tutti e due era venuto anche un mal di testa insopportabile, che sembrava volesse fargli uscire gli occhi dalle orbite.
In tempi e spazi percettivi molto dilatati, Giovanni riuscì ad accompagnare Stella fino a casa. Non era tardi, secondo i suoi parametri, ma non si sentiva bene.
Non voleva vedere nessuno e per non rischiar di incontrare sua sorella, tornò a dormire nel loft.
Trovò le finestre ancora spalancate, e così le lasciò. Spense – finalmente – la stufa a gas, e in un gelo da obitorio si addormentò vestito, nel sacco a pelo, sperando gli passasse il mal di testa.
Non gli passò. Ma la mattina riuscì ad andare in ufficio e a telefonare a Stella, quando anche lei fu nell’ufficio dove lavorava.
Era nelle sue stesse condizioni e si dettero appuntamento per l’ora di pranzo.
In mattinata passò dalla farmacia del suo quartiere, a farsi dare qualcosa per il mal di testa che insisteva. Conosceva il farmacista da più di vent’anni, e si mise a raccontargli quello che gli era accaduto la sera prima. Finchè... a un certo punto lo vide diventare grigio in faccia,
«Monossido di carbonio!»
«Cosa hai detto?»
«Che siete vivi per miracolo... »
Gli misurò la pressione, poi gli dette delle pasticche... da far prendere anche a Stella. E gli spiegò, che se anche lui si fosse addormentato, sarebbero sicuramente morti tutti e due, per le esalazioni della cattiva combustione della stufa, che ristagnano verso il basso. All’altezza del pavimento e del basso lettino, appunto.
Davanti a una bistecca alla fiorentina alta quattro dita, dopo averle fatto prendere la “medicina”, Giovanni fece la dichiarazione che non ammetteva repliche:
«Ieri sera non siamo riusciti a morire insieme. È un segno del destino che “insieme” ci dobbiamo vivere.»
«Quando?» ...Stella non fece una piega.
Giovanni lasciò la rivista e l’agenzia.
Ritrovò uno dei ragazzi della sua vecchia squadra, che si era messo a fare il muratore, e aprì il cantiere... nominandosi progettista, direttore dei lavori e manovale. Per tre mesi fece su e giù quei dieci maledetti scalini, portando ballini di cemento, secchioni di sabbia, scatole di mattonelle. E poi rotoloni di moquette, elettrodomestici, mobili da montare. E poi tutte le sue poche cose. Investì quasi tutti i soldi che aveva pensato di lasciare per Stellina, ma prima dell’estate il loft aveva completamente cambiato faccia.
Moquette ovunque, compresi gli scalini. La camera enorme, con un enorme letto al centro. La cucina in muratura, quando ancora non andavano di moda. Un salone più grande della camera, col divano-letto, due poltrone, il tavolo da pranzo e un’intera parete lunghissima tutta a libreria. Il bagno completamente nuovo. E il suo studiolo, con un bel tecnigrafo e un piano luminoso, per i lavori di grafica. Tutto pronto per cominciare una nuova vita.
Ai primi di agosto si replicò la commedia della borsa da moto e dei bagagli. Come l’anno prima con Alessia. Anche Stella riuscì a farci entrare più di quello che poi le servì realmente. Ma non andarono in Corsica. Stavolta doveva essere tutto nuovo. Con la moto perfettamente preparata e caricata partirono per la Spagna, una mattina presto, dal garage dei suoi nuovi suoceri.
Nel frattempo non gli era stato facile, farsi accettare! Per loro, cattolici ultra osservanti, Giovanni, separato solo civilmente, risultava ancora sposato nei confronti della chiesa.
Tornarono alla fine del mese, dopo essere arrivati fin sotto Valencia. Gli mancò il tempo di scendere fino a Gibilterra, come aveva fatto sua sorella Anna, tanti anni prima. Ma solo perché loro erano troppo curiosi e golosi. Si fermavano di continuo per vedere e assaggiare tutto.
Giovanni abitava già nel loft e, nei due mesi successivi, Stella cominciò a portarci anche le sue cose. Poco alla volta, per creare meno traumi possibile ai suoi genitori, e soprattutto a sé stessa.
Il 29 di ottobre, un fine settimana che i suoi andarono a Siena – apposta per non esserci – Stella fece le ultime due valige... e si trasferì definitivamente nella sua nuova casa.
Aveva solo ventitré anni e, nonostante tutte le loro certezze, anche il suo fu un bel salto nel buio. La prima sera dovette consolarla, e anche asciugare qualche lacrimuccia. Ma quella data divenne il loro “anniversario”. Più importante di un matrimonio. Infatti, quando cinque anni dopo si sposarono, la cosa fu più rilevante per gli altri che per loro. Anche se vollero scegliere una data particolare, facendo dannare un amico che lavorava in Comune, per riuscirci. Si sposarono il 31 di dicembre, lo stesso giorno in cui, tanti e tanti anni indietro, si erano prima conosciuti e poi ritrovati. Ma la loro data, restò il 29 di ottobre.
Gli inizi furono quelli di una normale vita di una coppia molto affiatata. Con i soliti problemi e le difficoltà che tutti incontrano. Stella faceva la segretaria in una ditta commerciale di materiale telefonico, e non guadagnava molto. Giovanni doveva inventarsi tutto. Aveva deciso di fare il “creativo”, e adesso voleva farlo in proprio.
Non c’era proprio portato a essere “dipendente”. Nei mesi passati all’agenzia aveva imparato parecchie cose. Cominciò riprendendo i contatti con gli studi grafici e le tipografie con cui aveva collaborato. In Camera di Commercio definì la sua attività: “Pubblicità&Marketing”.
Intanto, passava le giornate a cercare nuovi clienti, facendo pubblicità e marketing per sé stesso. E quando trovava lavori da fare, ci dedicava le nottate. Piano piano ingranò, entrò nel giro dei pagamenti e i problemi iniziali cominciarono a diminuire. Sentì finalmente di avercela fatta. In poco più di due anni, “ricominciando da tre”, si era rifatto una famiglia e un lavoro.
E in tre erano anche in famiglia, almeno una volta la settimana più un week end ogni due. Stellina faceva le elementari. Il mercoledì Giovanni si lasciava di nuovo il pomeriggio libero e andava a prenderla a scuola, dopo la mensa. Più o meno andavano sempre al solito cinema, ma poi Stella usciva dal lavoro. Facevano la spesa insieme, come una famiglia qualsiasi e poi a casa a cucinare. E Stellina dormiva da loro e la mattina dopo facevano colazione tutti insieme, e poi Stella l’accompagnava a scuola, mentre andava al lavoro.
Tutto giusto e perfetto.
Giovanni e Stellina si erano riavvicinati e Stella, anche se aveva solo una quindicina d’anni in più, si sentiva tanto “mamma”. Anche Diana si stava rifacendo una vita, e il loro rapporto rimase sempre su livelli di assoluta civiltà. Anzi proprio di amicizia. Anche a concludere il divorzio Giovanni e Diana ci andarono insieme, perfettamente in accordo come erano andati, cinque anni prima a iniziare la separazione.
Intanto Giovanni presentò Stella alla Corsica.
Come tanti anni prima aveva presentato Diana alla Sardegna.
Ma Stella in Sardegna non ce l’ha mai portata.
Per anni la Corsica è stata la loro “terra di confine”. Anche se solo per meno di un mese di ferie ogni estate, e un paio di volte una settimana in inverno, è diventata la loro seconda patria. Ci sono andati da soli e in compagnia. In moto, in macchina e in fuoristrada.
Oggi, quando in inverno si mettono a riguardare la carta Michelin dell’isola, non riescono a trovare nuove strade o nuovi posti dove andare. Ormai l’hanno girata tutta. È veramente la loro seconda casa e non gli dispiacerebbe, prima o poi, eleggerla a buon ritiro per la vecchiaia, come fanno tanti francesi che hanno conosciuto.
In fondo un briciolo di nostalgia in questo senso, a Giovanni, che tanti anni fa voleva partire per la Bretagna, è ancora rimasto.
Anche a livello di lingua. Più l’inglese diventa il linguaggio planetario, più lui ama il francese. La lingua internazionale delle Corti ottocentesche. Anche in questo è rimasto evidentemente un inguaribile “romantico”.
Quando – raramente – gli capita di soffermarsi su questo tipo di pensieri, si rende conto quasi con stupore, di essere ormai diventato una “persona normale”. E questo lo porta a una conclusione. Tutta e solo sua.
Stella, nella sua vita, è stata una “causa” con due “effetti”. Il primo, è stato quello di far finire la sua “pazzia”, di farlo rinsavire... se pure, qualche volta, a malincuore. Il secondo – e Giovanni ne è assolutamente convinto – è stato quello di farlo sopravvivere a sé stesso. Perché è sicuro... che se vent’anni fa fosse partito in moto per la Bretagna, come aveva stabilito di fare, oggi non ci sarebbe più. È un’idea così, senza alcun fondamento logico, ma dentro di sé sente che è vera.
Intanto, come nelle favole, vivevano felici e contenti, da persone normali. Se vogliamo un po’ monotone, ma sempre meno della media. Giovanni non faceva nemmeno il tran tran casa-ufficio... perché lo studio l’aveva in casa. Ma questa non era una limitazione, anzi. In questo modo si sentiva più libero. Non ne approfittava, se mai il contrario. Ma il solo pensiero di poterlo fare lo faceva star bene con sé stesso. Era ancora un po’ “randagio” e aveva bisogno di sentirsi, comunque, un cane sciolto.
Il sabato mattina andavano a fare la spesa al mercato centrale e poi, la sera, sempre qualche gruppo di amici a cena. Accettavano tutti volentieri i loro inviti, e a fine serata la battuta era sempre la stessa:
«Voi due dovreste aprire un ristorante!»
Se lo sentirono dire tante e tante di quelle volte, per scherzo...
che quando capitò l’occasione, per caso...
si guardarono un attimo negli occhi e, senza pensarci due volte lo fecero, per davvero...

Nessun commento:

Posta un commento